Odio fare le valige, soprattutto se devo ridurre la scelta a quanto sta pigiato in un trolley, affidarmi ad un pilota che intravedo mentre si imbarca di sfuggita cinque minuti prima di esser trasportata a gambe all'aria, mangiare il cibo dell'aereo che se va bene sa di plastica fusa, arrivare in un paese accolta da una pioggia che in cinque secondi marcisce le uniche scarpe che ho portato. Non sono un genio nel prepara i bagagli!
Lo so bene che sputare sulla possibilità di fare una vacanza e' indecente ma non posso descrivere ciò che per me non è, almeno dal punto di vita emotivo.
Posso però dire che a parte le fatiche caratteriali lo Sri Lanka poco alla volta mi ha conquistato. E lo ha fatto soprattutto tramite le persone che ho incontrato.
Sarei rimasta ore a parlare con la signora in spiaggia che cuce copriletti di seta che non servono a nulla se non a farti sospirare per tanta bellezza. Messi sul letto infatti scivolano da tutte le parti ma pazineza! Ovviamente ne ho acquistati un paio che userò come regali di Natale o come ho detto a Marito come corredo per Maria. Non avevo altre scuse e mi pento di non averne comprati una montagna per tutti i figli dei nostri amici. Dispiaciuti eh? Motivo per tornare in Sei Lanka!
Anche con il ragazzo che assomigliava sputato a Tarzan e portava la sua barca sul fiume nel safari come se fosse la cosa più naturale del mondo per veder i coccodrilli avrei voluto chiacchierare fino a sera invece di poter solo scorgere nei suoi occhi pezzetti di quella vita così selvaggia. Mannaggia a non saper il cingalese! Sicuramente lui vedeva senza sbagliare nei miei il terrore di finire giù dalla sua leggerissima canoa che poi è un attimo e zac...sei finito. Questi erano i miei pensieri mentre scivolavamo in mezzo a cotanta natura. Pensieri di terrore perché mentre ci indicava i piccoli alligatori appena nati io mica mi intenerivo. Pensavo infatti ai loro genitori, dove si nascondevano? Saranno mica stati tutti orfani no? E i miei figli giù a ridere come matti dei miei pensieri mortiferi...
Mi porto dentro lo sguardo ancora di pena, nonostante siano passati più di dieci anni, e le parole di riconoscenza per gli aiuti ricevuti, dell'amico locale che ci ha raccontato lo tsunami portandoci a pregare un attimo al memoriale costruito nel punto in cui il mare ha travolto sessantamila persone.
Di questo popolo mi è rimasta dentro la meraviglia del sorriso sincero e contento di incontrare lo straniero, di conoscere un pezzetto di mondo attraverso i nostri racconti, l'ammirazione per quella camminata lenta e sensuale che li contraddistingue, perché nessuno li e' malato di stress e non c'è bisogno di correre e l'autostrada che è una sola la percorriamo solo noi viaggiatori perché loro si spostano con calma perché il paesaggio e' più bello. Il colore della pelle e dei capelli così neri che di notte, sotto la luce della luna, sembrano striati di blu come le code dei pavoni che numerosissimi abitano il paese. L'odore di cannella e cardamomo che esce dalle pentole di improvvisate cucine nei villaggi costruiti lungo le rotaie del treno. Il rapporto giocoso che hanno con le onde dell'ocean che seppure li abbia traditi mortalmente offre a tante semplici famiglie la possibilità di correre coi loro figli sulla spiaggia a non farsi prendere.
Il resto, gli elefanti, i templi le scimmie, più numerose di quanto potessi immaginare, il cocco le città coloniali e le spiagge si possono facilmente immaginare e leggere sulle guide.
Mi rimane infine un senso di profonda gratitudine perché il viaggio mi ha permesso di confrontarmi con la dimensione del coraggio, che è innata, e di cui sono poco provvista per natura, ma anche con la dimensione della socialità che invece mi appartiene e mi ricolma ogni volta che torno da un luogo di ricordi capaci di modificare la mente.
Dovrei ricordarmene quando faccio le bizze per non partire!